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Parisot: «Non ingessate le banche»

di Attilio Geroni

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14 marzo 2010

La crisi non è finita. Ci siamo ancora dentro. Parola di Laurence Parisot, presidente del Medef, la confindustria francese. Che parla delle difficoltà, in Francia e in Europa, a mettere assieme una exit strategy coordinata. Adesso, aggiunge, bisogna che i governi e le amministrazioni non danneggino le imprese con altri oneri o restrizioni regolamentari. E lancia un appello ai regolatori del comitato di Basilea affinché le nuove norme prudenziali non soffochino le banche e l'erogazione del credito alle imprese.

Difficoltà nel trovare un minimo comun denominatore per aiutare la Grecia, freddezza nei confronti della proposta tedesca di un Fondo monetario europeo. Gestire l'uscita della crisi è più difficile della gestione della crisi. Perché?
Quando la crisi è scoppiata, la sua rapidità e la sua universalità hanno fatto sì che capi di stato e attori economici sia siano mobilitati in maniera eccezionale. Di fronte a un pericolo gravissimo l'istinto di sopravvivenza ha prevalso e sono state prese decisioni importanti e coordinate. Ora che il pericolo di morte è passato, tutto è più sottile, forse più complicato: il coordinamento è difficile da elaborare, le rivalità riprendono un po' il sopravvento. La verità è che siamo ancora in crisi. Per la Francia non parlerei di uscita, è troppo presto. Non siamo più tecnicamente in recessione, ma ci sono ancora pericoli e le difficoltà sono reali, per le famiglie e per le aziende, di cui molte hanno portato o stanno per portare i libri in tribunale. Penso che tutti i governi, in particolare quelli europei, debbano essere consapevoli che siamo ancora in crisi. E devono continuare ad agire nella maniera più solidale possibile. Penso alla Grecia. È fondamentale sostenere questo paese e aiutarlo a uscire da una situazione pericolosa. Ne va della credibilità dell'Europa ed è importante evitare qualsiasi rischio di contagio sociale. I movimenti di protesta che si stanno sviluppando in Grecia vanno presi sul serio.

Visto allora che siamo nel mezzo della crisi, come dovrebbero coordinarsi i governi e come si comportano i regolatori chiamati a ridefinire le normative finanziarie su scala mondiale?
Il fatto che non siamo ancora usciti dalla crisi e che i governi europei debbano agire in maniera coordinata ha conseguenze importanti nell'immediato futuro. Penso ad esempio alla riforma della regolamentazione bancaria, le nuove norme prudenziali alle quali sta lavorando il Comitato di Basilea. Il Medef prenderà presto un'iniziativa con le associazioni imprenditoriali europee per dire ai regolatori di fare attenzione affinché le nuove norme imposte alle banche non siano di un rigore tale da indebolire l'offerta di credito alle aziende. Confesso che siamo molto preoccupati. Ci sembra che i regolatori stiano reagendo in maniera eccessiva rispetto alla situazione poiché sono concentrati solo sull'analisi dei bilanci delle banche. Bisogna invece che riflettano sulle nuove regole chiedendosi che impatto potranno avere sull'insieme del tessuto industriale. Siamo colpiti nel vedere che all'origine di questa situazione, la crisi dei subprime e la crisi finanziaria, i regolatori hanno avuto una responsabilità importante. E sono quegli stessi regolatori, che non hanno visto arrivare la crisi e che non hanno preso in tempo le misure almeno per avvertire del pericolo, a elaborare in seno al Comitato di Basilea nuove norme per rafforzare i ratio prudenziali. I problemi sono altrove, nei mercati finanziari ancora troppo deregolamentati.

Nonostante la Francia abbia resistito meglio di altri paesi della zona euro, la disoccupazione è in forte aumento, segno di grande sofferenza da parte delle imprese.
Dall'inizio della crisi continuiamo a ripetere ai politici, all'amministrazione: se volete aiutare il paese, primum non nocere. No a nuovi oneri e a nuove restrizioni regolamentari che appesantirebbero il funzionamento delle imprese. Le imprese sono più fragili di prima della crisi. In Francia era da vent'anni che non registravamo così tanti fallimenti: 70mila nel 2009 e temo che la tendenza negativa continuerà nei prossimi mesi. L'aumento della disoccupazione è più legata a questo aspetto che non ai piani di ristrutturazione aziendale, dove i meccanismi di protezione, come l'accompagnamento alla formazione e alla riqualificazione professionale, attenuano l'impatto sui livelli occupazionali. Al contrario, quello di cui non si parla abbastanza, è che quando una Pmi di 60 dipendenti porta i libri in tribunale, sono sessanta persone che di colpo si trovano senza lavoro.

Lei dice primo non nuocere. Va per esclusione. Ma di cosa avrebbero bisogno le imprese per ripartire?
Nonostante il piano anti-crisi sia stato un ottimo piano di rilancio, fatto essenzialmente di anticipi di tesoreria e non di aiuti diretti e sovvenzioni, resta un grande punto interrogativo sul futuro. Il presidente Sarkozy non ha fatto in tempo a mettere in atto le grandi riforme strutturali prima della crisi, come invece è riuscita a fare la Germania, nei confronti della quale continuiamo ad avere un gap di competitività. Secondo me c'è un certo numero di riforme che bisogna progressivamente, e insisto sul progressivamente, portare avanti. Bisogna fissare un'agenda di medio-termine, diciamo un orizzonte temporale di almeno cinque anni, sui temi più importanti: pensioni, sanità, riduzione degli oneri, flessibilità del mercato del lavoro. Tutto ciò deve essere iscritto in un ordine del giorno; poi gli attori economici e politici devono condividere la diagnosi; e infine proporre un metodo per realizzare gradualmente queste riforme. Dobbiamo evitare uno schema troppo brutale che provocherebbe blocchi e incomprensioni.

  CONTINUA ...»

14 marzo 2010
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